"Il nuovo partito che nasce, il PDL, non sarà un parito di destra".
Così Gianfranco Fini chiude la storia di Alleanza Nazionale ed inizia il percorso nel partito unico del Popolo della Libertà.
Non c'é dubbio che questa frase ad effetto abbia fatto scaldare molti animi: alcuni hanno pensato che Fini rinnegasse il passato ma non è così. Il "non essere un partito di destra" non significa certo non avere al suo interno il DNA che contraddistingue un partito di destra ma vuole dire semplicemente che si cerca di configurarlo come un superamento migliorativo di questa monolitica e vetusta concezione.
In questo caso secondo me Fini ha ragione: lo abbiamo visto tutti, a seconda degli avvenimenti mondiali e degli accadimenti internazionali: le politiche che si debbono adottare non possono essere "di destra" o "di sinistra" ma semplicemente quelle più efficaci e giuste per quel preciso momento che il paese si trova ad affrontare.
Fino all'89, con la divisione in blocchi contrapposti dovuta alla guerra fredda, non esisteva alcuna globalizzazione ed i paesi potevano permettersi di praticare politiche non necessariamente interconnesse. L'Italia svalutava in continuazione la sua lira, la Germania aveva il problema di un marco troppo forte, la Francia poteva permettersi di scegliere una linea isolazionista. Insomma, ogni paese poteva fare un pò ciò che voleva in una realtà scollegata da nazione a nazione.
Parimenti, una volta i partiti erano statici, rimanevano sempre uguali a loro stessi perché uguale a se stesso era il mondo. Cambiavano i leaders, alcuni erano capaci e saggi, altri stupidi o ladri, però il partito rimaneva sempre uguale perché si muoveva in un dominio chiuso, quasi ermetico.
Oggi, che lo si voglia o no, non è più così.
Il mondo è cambiato, non starò disquisire se in meglio od in peggio ma tant'é.
Oggi l'Europa che piaccia o no è integrata (anche se a mio parere molto male) in un sistema globale "ad effetto farfalla" nel quale basta che una banca dall'altra parte del mondo faccia buoni utili od abbia un problema di liquidità che subito tutte le borse mondiali ne risentono amplificando l'euforia o trascinando a picco l'economia.
Però questo continuo riassetto globale non dipende solo da fattori economici ma anche da stravolgimenti politici e culturali. Basti guardare il problema immigrazione: fino a quindici anni fa non se ne sentiva parlare perché l'immigrazione era così esigua da non costituire un problema. Ora è uno dei problemi più sentiti tra la cittadinanza del nostro paese.
Si potrebbe andare avanti all'infinito: la giustizia, le nuove tecnologìe, la questione morale, la questione etica, le grandi opere. Tutte le problematiche e le opportunità che ne scaturiscono sono legate a filo doppio con il resto del mondo. Siamo in una grande barca, insomma, di cui noi governiamo un solo remo.
Questo nuovo ordine mondiale, pertanto, deve indurre a cambiare anche la politica: ovviamente un partito non potrà mai diventare il suo opposto, il PDL non sarà mai il PD. Però un partito che agisce in maniera saggia pur mantenendo i valori che lo contraddistinguono dovrebbe potersi far carico di qualunque situazione, anche d'emergenza, che gli capitasse di dover risolvere.
Vi sono momenti storici nei quali debbono essere attuate politiche più "di destra" per poter progredire e rilanciare l'economia mediante una sana competizione tra aziende in modo da dare la possibilità di fornire occupazione alla gente. Vi sono momenti come questo in cui invece si deve attuare una politica protettiva nei confronti dei più deboli (e quindi sociale) che potremmo definire "di sinistra", anch'essa frutto dell'eredità della destra in quanto Mussolini tra tanti errori creò però a suo tempo mutue, pensioni ed un'ossatura di solidarietà sociale molto efficace. Il fatto di far intervenire lo stato nel caso in cui grosse aziende o banche falliscano lasciando sul lastrico gli italiani è una temporanea manovra più "di sinistra" che "di destra". Un precedente già ci fu, ricordiamoci che Mussolini in seguito alla crisi americana del '29 creò nel '33 l'IRI per salvare la Banca Commerciale, la Banca di Roma ed il Credito Italiano affidando il salvataggio ad un socialista, Alberto Beneduce ed imponendo tra l'altro molto intelligentemente che i politici fascisti fossero tenuti fuori da questa operazione. Allora, in quelle condizioni di emergenza, il partito fascista si comportò esattamente come un partito socialista (da cui, infatti per tradizione nacque).
A maggior ragione, quindi, parlare oggi di destra o di sinistra è una grossolana semplificazione. Un partito che si candidi a governare un paese per lungo tempo deve necessariamente essere preparato a passare tra improvvise ed inaspettate crisi e tali difficoltà impongono talvolta soluzioni "di destra" e talvolta soluzioni "di sinistra".
E' proprio per questo motivo che la sinistra oggi viene sistematicamente e fragorosamente sconfitta: essa è pervicacemente attaccata alla sua "sinistrosità dura e pura", alla granitica divisione in classi operaie e non operaie non accorgendosi che così facendo crea non solo malcontento nei confronti dei lavoratori che operai non sono ma anche tra stessi operai, i quali, così ghettizzati, invece di essere spronati ad un apporto collaborativo verso la loro azienda sono aizzati contro "il padrone", dando vita così con le loro mani alle premesse per il fallimento dell'azienda e per la loro stessa rovina.
Un partito come il PDL, invece, deve puntare sull'economia ma anche sul sociale: dev'essere di destra quando serve e di sinistra ove ve ne sia necessità. Questo concetto l'ha capito perfettamente la Lega, che infatti sta mietendo successi clamorosi l'uno dietro l'altro pescando a piene reti nel serbatoio della sinistra.
Un partito di oltre il 40% come il PDL, insomma, deve poter essere sia di destra che di sinistra: solo così, in futuro, potrà regalare all'Italia solidità, concretezza e benessere, sottraendola alle maldestre mani di chi invece fa dell'invidia e del diniego la sua unica ragion d'essere.
Etichette: Politica Interna